Perché il Ministro Valditara vuole riscrivere le indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione?
Presentiamo l’articolo di Walter Moro pubblicato nella rivista education 2.0
Riteniamo sia opportuno partire da una premessa: quali sono le ragioni che hanno indotto il Ministro Valditara a nominare una commissione di esperti, composta da pedagogisti, per riscrivere, come ha dichiarato, le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, entrate in vigore nel 2012 con il DM 254? Secondo il Ministro della Pubblica Istruzione e del Merito, le ragioni della necessità di queste revisioni vanno rintracciate nel sistema scolastico, che attualmente prevede l’insegnamento di “troppa roba” e cita, come esempio di questa “troppa roba”, che “in terza elementare si vanno a narrare e a spiegare tutte le specie di dinosauri”. Il Ministro aggiunge che “addirittura, c’era un animale vissuto 40 milioni di anni fa e questi bambini devono studiare e imparare al riguardo di un animale vissuto in Messico ed estinto da milioni di anni.” Ancora, il Ministro si interroga: “tutto questo a che serve? È tutto inutile se poi non conosciamo le esperienze più importanti del nostro passato che ci hanno dato i grandi valori dell’occidente”.
L’intervento si conclude con l’affermazione di come sia necessario “semplificare non poco, non nel nome del semplicismo, ma nel nome del far prevalere la qualità sulla quantità.”
Per iniziare, ci si chiede da quale fonte il Ministro abbia ricavato l’informazione che nella classe terza della “scuola elementare”, (definizione di per sé inappropriata, poiché dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2004, la denominazione corretta è scuola primaria) si insegnano i dinosauri? Abbiamo analizzato con attenzione i curricoli della scuola primaria, in particolare di scienze e di storia e geografia, dove non c’è traccia dei contenuti citati. Siamo di fronte al fatto innegabile che il Ministro non abbia letto attentamente le Indicazioni Nazionali del primo ciclo di istruzione, perché se lo avesse fatto, avrebbe scoperto che il documento in questione indica, in una logica di verticalità del curricolo, solo in modo essenziale le conoscenze oggetto di insegnamento perché da quando è entrata in vigore l’autonomia scolastica con il DPR n. 275 nel 1999, è previsto che le istituzioni scolastiche godano di piena autonomia didattica, in particolare in riferimento agli articoli 4 e 5, che stabiliscono che le scuole debbano progettare i propri percorsi didattici partendo dal contesto, mettendo al centro i bisogni di apprendimento degli alunni. È noto che l’organizzazione della didattica, gli aspetti metodologici, la selezione dei contenuti sono di competenze delle singole istituzioni scolastiche, mentre vincolanti sono i traguardi di sviluppo delle competenze, di cui tutte le scuole del paese dovrebbero promuovere il raggiungimento.
Vogliamo poi sottolineare che, con l’entrata in vigore dell’autonomia scolastica, il Ministero dell’istruzione non emana più centralisticamente e dall’alto “programmi” che le scuole devono poi obbligatoriamente applicare; non a caso quelle in vigore sono state denominate “indicazioni” nazionali (o linee guida per gli Istituti tecnici e professionali), proprio perché sono state emesse perché vengano tradotte e applicate nel contesto di apprendimento specifico di ogni realtà formativa. Va inoltre ricordato che le attuali Indicazioni Nazionali per il primo ciclo di istruzione sono entrate in vigore nel 2012, ma, a partire dal 2007, quindi per ben cinque anni, sono state oggetto di una sperimentazione, che ha visto il coinvolgimento del mondo della scuola, degli insegnanti, dei dirigenti scolastici e delle famiglie. Per molti esperti del settore, esse costituiscono uno dei documenti didattico-pedagogici e disciplinari più innovativi che la scuola italiana abbia mai prodotto. Francamente ora, al di là delle imprecise affermazioni del Ministro sopra riportate, non si capisce quali siano i reali motivi che lo abbiano indotto a ritenere le vigenti Indicazioni superate. Sarebbe stato piuttosto opportuno, ed è questo che peraltro ci saremmo aspettati, un forte investimento per rilanciarle attraverso un piano di aggiornamento rivolto soprattutto ai nuovi docenti e dirigenti immessi in ruolo dai recenti bandi di concorso.
Ci si chiede, infine, per quale motivo, prima di procedere alla creazione di una commissione di revisione delle Indicazioni, non si sia ritenuto opportuno procedere ad una consultazione con gli insegnanti e i dirigenti delle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, per capire le eventuali difficoltà di applicazione e quali aspetti dovrebbero essere innovati
o modificati.
Non sarebbe stato forse più corretto ascoltare il parere delle associazioni professionali dei docenti, sia quelle generaliste sia quelle specifiche di tipo disciplinare, così ampiamente presenti nel nostro sistema di istruzione? Solo successivamente e sulla base di questa ricognizione, sarebbe stato opportuno nominare una commissione, non composta unicamente da pedagogisti, ma rappresentativa del mondo della ricerca didattica disciplinare, capace di interpretare i processi di cambiamento indotti in particolare dalle tecnologie della comunicazione multimediale e dal digitale, andando a effettuare correzioni ed aggiustamenti, e al tempo stesso attivando conseguentemente un sostanziale piano nazionale di formazione sugli aspetti dell’innovazione.